Diagnosi prenatale: la pediatria in utero

24 Settembre 2024

Diagnosi prenatale

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Prof. Roberto Miniero

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Che cos’è la pediatria in utero

La medicina fetale, vista come disciplina autonoma dagli anni ’60, ha permesso significativi avanzamenti nella analisi prenatale e nel trattamento delle patologie fetali direttamente in utero.

Alla fine degli anni ’60, Erich Saling introdusse per la prima volta il concetto di “medicina perinatale”, delineando una specializzazione che collega il periodo prenatale al postnatale, estendendosi dalle 28 settimane di gestazione fino ai 28 giorni dopo il parto.

Negli anni ’80 emerse un nuovo concetto volto a considerare, dal punto vista medico, bioetico e legale, il “feto come una persona e il feto malato come un paziente”.
Ponendo l’attenzione alla disciplina pediatrica, è possibile oggi ridefinire la medicina fetale come “Pediatria in utero”, termine proposto dal cinese Kun Sun nel 2021. Questo ha ampliato significativamente il campo dell’esame prenatale, portando alla nascita di nuovi approcci di trattamento in utero.

La pediatria prenatale come multidisciplinarietà

La pediatria in utero rappresenta l’estensione multidisciplinare della pediatria tradizionale, abbracciando la gravidanza e il periodo prenatale con la necessaria interazione di diverse discipline mediche.

Esperti in ostetricia e ginecologia, pediatria, chirurgia pediatrica, anestesiologia, genetica, radiodiagnostica, anatomia patologica, psicologia, etica e bioetica collaborano per formare un ambiente integrato che è fondamentale per garantire la salute materna e fetale durante tutto il periodo di gestazione.

Tale collaborazione si manifesta spesso in quello che viene chiamato un “dipartimento di medicina materno-fetale”, dove le visite prenatali e gli esami prenatali diventano momenti fondamentali per valutare e garantire la salute materna e fetale durante tutto il periodo di gestazione.

La pediatria in utero è una disciplina complessa, con risvolti deontologici e giuridici talvolta controversi oggetto di dibattito nella comunità scientifica, nei comitati etici e nella società civile. 

La medicina fetale è oggi oggetto di interesse anche da parte della intelligenza artificiale, rivoluzionando il modo in cui vengono diagnosticati e trattati i disturbi prenatali. Attraverso l’uso dell’IA, i medici possono ora beneficiare di diagnostiche più precise e personalizzate, migliorando significativamente la rilevazione precoce di malformazioni e patologie genetiche. Inoltre, l’IA facilita il monitoraggio continuo del feto e supporta la ricerca avanzata, contribuendo allo sviluppo di trattamenti innovativi e strategie di intervento mirate.

La pediatria in utero include differenti sfere di competenza riconducibili a tre principali campi d’intervento: 

  • Prevenzione di patologie malformative del feto e di malattie che insorgono dopo la nascita ma che hanno il primum movens in utero;
  • Diagnosi prenatale di patologie malformative o funzionali del feto;
  • Trattamento (in utero) del feto malato.

Diagnosi prenatale dei difetti congeniti

La diagnosi prenatale non invasiva, è sempre più richiesta. I difetti congeniti, che colpiscono il 3-5% dei neonati, variano da condizioni che possono essere gestite con interventi chirurgici minori a malformazioni gravi che possono influenzare significativamente la qualità della vita. Queste condizioni sono spesso il risultato di complicazioni genetiche, ambientali o altre cause non ancora completamente comprese dalla scienza medica.

Circa 1 neonato su 1000 può nascere con una malformazione; queste ultime possono essere gravi (richiedono interventi chirurgici) o lievi (modificano la morfologia e la funzione degli organi senza un impatto significativo sulla salute). Sono responsabili del 25% della natimortalità e del 45% della mortalità perinatale e costituiscono circa un terzo delle cause di ospedalizzazione in età pediatrica.
Tra le cause riconosciute troviamo nel 25% dei casi un’aberrazione cromosomica, nel 30% un’alterazione genetica, mentre nei restanti casi l’origine è multifattoriale (genetica, ambientale, infettiva o iatrogena) o del tutto sconosciuta. 

Nelle donne gravide di età superiore ai 35 anni vengono diagnosticate, mediante tecniche invasive, circa il 40% circa delle alterazioni cromosomiche, contro il 60% di cromosomopatie che si rileva in nati da gestanti di età inferiore a 35 anni (molto più numerose delle gravide over 35 e senza indicazioni specifiche alla diagnostica invasiva). 

Poiché l’uso indiscriminato delle tecniche invasive nelle gestanti <35 anni è improponibile si può quindi comprendere lo sforzo della comunità scientifica per mettere a punto test di screening capaci di identificare nella popolazione a basso rischio i soggetti a cui consigliare la diagnostica invasiva.

Test di screening: definizione

I test di screening, per definizione, servono a identificare, in una popolazione ritenuta sana, i soggetti portatori di una determinata patologia o che hanno un rischio elevato di svilupparla. Lo screening può essere di massa, se applicato a tutta la popolazione o selettivo se rivolto a soggetti a rischio per ragioni anamnestiche o ambientali.

Il test deve essere di semplice esecuzione, privo di complicanze e risultare sufficientemente sensibile e specifico da limitare il più possibile i falsi negativi e i falsi positivi. Lo screening ha lo scopo di definire il rischio di patologie del feto meritevole di un approfondimento diagnostico con la diagnosi prenatale. Negli ultimi decenni gli screening prenatali e la diagnosi prenatale delle malattie fetali sono diventati quasi un vero e proprio “rituale” della gravidanza che necessità di uno specifico counseling specificatamente formato.

La diagnosi prenatale, grazie all’avanzamento delle tecnologie di imaging e test genetici, permette di identificare queste anomalie in modo sempre più preciso e tempestivo. Metodi come l’amniocentesi e la villocentesi, insieme ad analisi meno invasive come il bitest e la translucenza nucale, sono strumenti fondamentali in questo processo, offrendo ai medici la possibilità di intervenire, anche chirurgicamente, prima della nascita.

In caso di riscontro di patologie gravi fetali, ci si può trovare di fronte a tre possibili opzioni: aborto selettivo, accoglienza del bambino affetto o possibili trattamenti correttivi in utero non scevri da possibili rischi sia per il feto che per la gravida.
L’approccio alla diagnostica prenatale mette quindi in evidenza questioni che, oltre alla personale sensibilità della gestante, coinvolgono la sfera della deontologia medica, della bioetica, dell’etica, delle convinzioni religiose nonché delle leggi dello Stato.

Ecografia ostetrica: monitoraggio e diagnostica prenatale

L’ecografia ostetrica, offerta a tutte le donne in gravidanza durante il <<Percorso nascita>> è un pilastro della diagnostica prenatale. Essa è utilizzata non solo per monitorare lo sviluppo e la salute del feto (indicatori biometrici)  ma anche per identificare potenziali anomalie morfologiche e funzionali ((indicatori morfologici).

Questa tecnica, che si avvale degli ultrasuoni per creare immagini del feto, è fondamentale per le valutazioni periodiche raccomandate dalle linee guida internazionali.

La datazione ecografica, un prerequisito essenziale per lo screening biochimico (vedere di seguito), durante il primo trimestre di gravidanza, consente anche di misurare la translucenza nucale (NT); questo parametro risulta essere molto sensibile di associate anomalie cromosomiche, difetti cardiaci e varie sindromi congenite. 

Il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) dell’Istituto Superiore di Sanita-2023 raccomanda di eseguire due ecografie durante la gravidanza: la prima, entro la 14ª settimana, per verificare l’impianto dell’embrione all’interno dell’utero e determinare con precisione la data del concepimento; la seconda (chiamata “morfologica”), tra la 19ª e la 21ª settimana di gravidanza, per valutare l’anatomia del feto ed escludere malformazioni identificabili tramite ecografia.

Entrambe sono incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e offerte gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nell’ambito del Percorso nascita.
La morfologia di secondo livello, in particolare, è un test dettagliato che permette di esaminare in modo approfondito la struttura anatomica del feto, identificando possibili difetti congeniti.

Ulteriori ecografie possono essere eseguite su richiesta del medico curante, la più frequente delle quali nel terzo trimestre di gravidanza per valutare la crescita fetale, lo stato della placenta e la quantità di liquido amniotico. In casi specifici, per delineare meglio le anomalie osservate con l’ecografia, può essere utilizzata la Risonanza Magnetica (RM), che, secondo le conoscenze attuali, non è dannosa per il feto.
L’ecografia ostetrica è inoltre utilizzata per guidare biopsie durante le indagini prenatali invasive.

Screening prenatale per anomalie cromosomiche

Negli ultimi decenni sono stati individuati marcatori, biochimici ed ecografici, che se vengono utilizzati singolarmente o in associazione, in un unico momento o in tempi successivi nel corso del primo e del secondo trimestre possono individuare il rischio di patologie fetali.

Lo screening prenatale prevede dosaggi biochimici di sostanze prodotte dall’unità feto-placentare che, combinati con i dati ecografici, anamnestici e demografici della donna, consentono di calcolare un rischio personalizzato di Trisomia 21 e difetti del tubo neurale. Si tratta di test non invasivi sicuri sia per il feto che per la madre. Quelli oggi più utilizzati sono il Test combinato ed il Test Integrato (20-26).

Test combinato per la diagnostica prenatale

Il test combinato è una procedura standardizzata ed è attualmente il test di screening prenatale più diffuso per la Trisomia 21. Viene eseguito nel primo trimestre di gravidanza valutando la traslucenza nucale tra l’11ª e la 13ª settimana, i valori biochimici di due sostanze placentari, Free β-hCG e Pregnancy Associated Plasma Protein A (PAPP-A), nonché l’età materna.

Questo test è fondamentale per identificare il rischio di Trisomia 21 precocemente durante il primo trimestre di gravidanza, e i suoi risultati possono determinare il percorso diagnostico successivo, che potrebbe includere amniocentesi o altri test genetici dettagliati.

Il test combinato ha dimostrato, inoltre, una elevata detection rate anche per altre cromosomopatie consentendo di identificare circa l’80-90% delle anomalie cromosomiche diverse dalla trisomia 21.

Se la gravidanza è diagnosticata nel secondo trimestre, possono essere eseguiti solo i dosaggi biochimici di α-fetoproteina (AFP), estriolo libero (uE3) e hCG a molecola intera (tri-test o test di Wald), permettendo di avere una possibile stima di rischio di difetti del tubo neurale. Applicando insieme i parametri del 1° e del 2° trimestre si può utilizzare il Test integrato.

Con un tasso di positività di circa il 5%, la sensibilità dei test biochimici per il calcolo del rischio varia da circa il 70% per il tri-test al 94% per il test combinato, a condizione che l’ecografia NT sia eseguita da un operatore accreditato sottoposto a verifica annuale del controllo qualità (come richiesto dalla letteratura internazionale).
Altri indici fetali (presenza dell’osso nasale e dotto venoso) possono indicare la presenza di trisomie ma non sono utilizzati nel calcolo del rischio. Il SSN offre a tutte le donne in gravidanza, indipendentemente dall’età, il calcolo del rischio per la Sindrome di Down per valutare l’opportunità di sottoporsi alla diagnosi prenatale invasiva (vedere di seguito) in caso di aumento del rischio di anomalie cromosomiche.

Test del DNA fetale su sangue materno (cfDNA)

Questo test, noto anche come test prenatale non invasivo (NIPT), prevede l’analisi di frammenti di DNA placentare che circolano nel sangue della madre.

Come per i test tradizionali, algoritmi dedicati determinano la probabilità che il feto sia affetto da una delle principali trisomie autosomiche come:

  • Sindrome di Down (trisomia 21)
  • Sindrome di Patau (trisomia 13)
  • Sindrome di Edwards (trisomia 18)
  • Aneuploidia dei cromosomi sessuali come la Sindrome di Turner (monosomia X) o la Sindrome di Klinefelter (XXY)

Il test NIPT, che analizza il DNA fetale nel sangue materno, rappresenta una rivoluzione nella diagnostica prenatale per la sua precisione e non invasività.

La tecnica identifica specifiche microdelezioni nel DNA e numerose (centinaia) possibili alterazioni genetiche o malattie monogeniche, a seconda della piattaforma tecnologica utilizzata. Il NIPT test generalmente fornisce risultati molto accurati per la patologia target ma è attualmente validato scientificamente solo per le principali anomalie cromosomiche.

Il NIPT è eseguito su un campione di sangue materno dalla 10ª settimana (11ª-14ª) di gravidanza, sebbene il cfDNA persista fino alla fine della gravidanza, e rivela anche il sesso del feto.
Ha un livello di sensibilità elevato per le principali anomalie cromosomiche e i falsi negativi sono rari, ma rimane un test di screening e non un test diagnostico prenatale: in caso di risultato positivo, si raccomanda l’amniocentesi o la villocentesi per conferma.

A differenza di altri test non invasivi, il NIPT non è ancora incluso nei LEA forniti dal SSN a causa degli attuali elevati costi operativi e rimane nell’ambito delle diagnosi a pagamento. Si stima che circa 50.000 madri/anno in Italia utilizzino potenzialmente questa tecnologia. Studi di fattibilità sono stati condotti in varie regioni, e in alcune viene proposto come una “strategia contingente”, preceduta dal test combinato per un contenimento dei costi.

Precisazioni

La sempre maggiore diffusione negli ultimi anni dei test di screening per la diagnosi prenatale è stata accompagnata da un incremento delle richieste di risarcimento in casi in cui il test non era stato effettuato o ha individuato un rischio basso seguito poi dalla nascita di un feto affetto.

Fra le cause che hanno portato al contenzioso è emerso una non chiara informazione su scopi e limiti del test stesso. Queste osservazioni sottolineano la fondamentale importanza della comunicazione quale elemento centrale dei processi di screening da affidare necessariamente a personale esperto.

I medici devono infatti fornire informazioni complete e comprensibili sui test di screening prenatali e sui loro benefici e limiti, assicurandosi che le gestanti possano fare scelte informate riguardo alla loro salute e a quella dei loro futuri bambini. Questo aspetto è essenziale per garantire che le decisioni cliniche siano prese con la massima consapevolezza e considerazione del benessere del feto e della madre.

Bibliografia

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