Prevenzione del rischio cardiovascolare

13 Ottobre 2024

Rischio cardiovascolare
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Cenni di epidemiologia, ovvero “la dimensione del problema”

Le malattie su base aterotrombotica, rappresentate dalla malattia coronarica acuta (infarto miocardico) e cronica (angina ed ischemia miocardica), dall’ictus, dall’attacco ischemico transitorio, dalle arteriopatie periferiche degli arti inferiori e dagli aneurismi aortici, costituiscono la parte di gran lunga prevalente delle malattie cardiovascolari in età adulta, e la principale causa di morte a livello mondiale.

Con riferimento all’anno 2020, nell’Unione Europea le malattie del sistema circolatorio hanno rappresentato circa un terzo (32.7%) di tutti i decessi (fonte Eurostat). I dati italiani sono sostanzialmente in media europea, con circa 230.000 morti (2/3 per malattia coronarica ed un terzo per ictus) su 740.000 decessi complessivi (31.2%), e al contempo le malattie cardiovascolari sono state nello stesso periodo la causa principale di ricovero ospedaliero (670.000) e di grave invalidità per malattia (circa 260.000 pazienti/anno) (dati Istituto Superiore di Sanità).

Principali meccanismi responsabili della malattia vascolare aterotrombotica

La malattia cardiovascolare aterotrombotica si sviluppa nel tempo (anche qualche decennio) ed ha origine multifattoriale, riconducibile ad alterazioni degenerative delle arterie associate all’avanzare dell’età su cui si sovrappone l’effetto sfavorevole dei vari “fattori di rischio” come il fumo, l’iperglicemia e il diabete, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia. Questi fattori non sono gli unici responsabili dello sviluppo e della progressione della malattia vascolare arteriosa, ma sono quelli per i quali l’importanza per lo sviluppo della malattia è assolutamente documentata e quantificabile.

Concetto di fattore di rischio e stima del rischio cardiovascolare

Per fattore di rischio si intende una caratteristica, come per esempio l’ipertensione arteriosa, la cui presenza si associa ad una aumentata probabilità di sviluppare una malattia clinica in un determinato futuro. I fattori di rischio collegati alle malattie cardiovascolari, e sopra citati, sono stati ottenuti inizialmente dallo studio della popolazione della cittadina di Framingham, vicino Boston, a partire dai primi anni Cinquanta, e successivamente verificati in Europa e nei singoli Paesi come l’Italia.

Si identificano fattori di rischio “non modificabili” (età e sesso maschile) e “modificabili” (fumo, diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa). Dai dati ottenuti studiando per decenni le varie popolazioni, sono state ottenute stime sull’importanza dei vari fattori di rischio nello sviluppo di malattia.

Carte e calcolatori del rischio individuale per la prevenzione cardiovascolare

Ciò ha reso possibile la produzione di strumenti pratici come “carte del rischio” e “calcolatori del rischio individuale”, oggi accessibili in rete, in cui introducendo i dati appropriati si può fornire al paziente una stima della probabilità di sviluppare almeno uno degli eventi clinici suddetti a distanza di 10 anni. Basate su concetti e parametri molto simili, sebbene con alcune specificità regionali, sono disponibili le carte del rischio di Framingham, con il calcolo del “Framingham risk score”, le carte Europee (“SCORE”) e quelle Italiane.

In ogni caso, si distinguono tre categorie di rischio, basso, intermedio ed alto, che serviranno a graduare gli interventi terapeutici (trattamenti più intensi in soggetti a rischio più alto). Le carte Europee, inoltre, considerano anche le fasce di età (inferiore a 50 anni, tra 50 e 69 anni, dai 70 anni in su): infatti, essendo l’età un fattore rilevante, se non preponderante nella stima del rischio globale, i soggetti più giovani “meriteranno” un trattamento più intenso anche se con valori relativamente bassi di rischio calcolato, mentre negli anziani si possono attuare misure più blande nonostante stime del rischio numericamente elevate per il solo effetto dell’età. E’ noto inoltre che la presenza simultanea di più fattori di rischio ha un effetto di potenziamento reciproco (“sinergico”)e quindi ai fini della prevenzione cardiovascolare è molto importante contrastare in modo integrato tutti i fattori di rischio del singolo paziente.

Dalla stima del rischio alla prevenzione cardiovascolare

E’ intuitivo, e confermato da dati scientifici, che la prevenzione cardiovascolare è fondamentale per limitare le malattie cardiovascolari e la mortalità correlata. Un recente studio sul “Global Burden of Cardiovascular Diseases” (“impatto complessivo delle malattie cardiovascolari”) pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology sottolinea come una efficace prevenzione diffusa potrebbe salvare circa l’80% delle persone che muoiono a causa di problemi legati al cuore ed ai fattori di rischio già ricordati.

Prevenzione primaria e secondaria

Gli interventi di prevenzione primaria sono quelli attuati in soggetti normali o con uno o più fattori di rischio modificabili, che però non hanno avuto la malattia clinica (infarto miocardico, ictus etc.). In questo gruppo ha utilità pratica la suddivisione nelle tre categorie di rischio, basso, medio, alto.

Il termine prevenzione secondaria indica tutte quelle misure e provvedimenti attuati nei pazienti che abbiano già avuto almeno una patologia (infarto, ictus, angioplastica coronarica, bypass, arteriopatia arti inferiori, aneurisma aorta). Tutti questi soggetti, oltre ai soggetti diabetici anche senza eventi clinici, sono da considerare “ad alto rischio”.

Obiettivi terapeutici in funzione del rischio cardiovascolare stimato

L’utilità pratica nel singolo soggetto della stima del rischio cardiovascolare consiste nel livello di approfondimento diagnostico da riservare ai vari pazienti, maggiore in quelli a rischio alto e, in alcuni casi, medio, e negli obiettivi della terapia farmacologica dell’ipertensione arteriosa e dell’ipercolesterolemia. 

Per l’ipertensione arteriosa si raccomandano, se tollerati, valori di pressione arteriosa sistolica massima a riposo tra 120 e 129 mmHg nei soggetti a rischio elevato, a fronte di un limite accettabile fra i 130 e 139 mmHg nei soggetti a rischio medio o basso o di età superiore a 70 anni. Oltre gli 80 anni sono consigliati valori pressori sistolici tra 140 e 160 mmHg

Per il colesterolo si raccomandano valori di colesterolo LDL (“cattivo”) inferiori a 100 mg% nei soggetti normali o a basso rischio, inferiori a 70 mg% nei soggetti a medio rischio, ed inferiori a 50 mg% in quelli ad alto rischio.

Ulteriori modulatori del rischio per la prevenzione cardiovascolare

Oltre ai fattori suddetti, ci sono ulteriori caratteristiche che si ritiene influenzino la probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari, come la familiarità, la sedentarietà, le abitudini alimentari scorrette, l’obesità, che può favorire lo sviluppo di ipertensione arteriosa, la dislipidemia, la sindrome metabolica, diabete, la sindrome delle apnee del sonno, la presenza di riduzione della funzione renale (evidenziata dall’aumento della creatina), in alcuni casi lo stress ecc.. Di tutti questi fattori bisognerà tener conto. Nei soggetti a basso rischio, i provvedimenti iniziali riguarderanno proprio le misure igienico-dietetiche, in particolare la pratica di attività fisica regolare ed una alimentazione appropriata.

La figura presenta la così detta “piramide alimentare”, prevenzione cardiovascolare

La figura presenta la così detta “piramide alimentare”, che schematizza le proporzioni dei vari alimenti in un regime dietetico ottimale anche ai fini della prevenzione cardiovascolare.

Strategie per una efficace prevenzione cardiovascolare personalizzata

Le Carte del Rischio e le varie Linee Guida elaborate dalle principali società scientifiche internazionali hanno un valore rilevante ma orientativo, e non possono mai sostituire automaticamente valutazione e responsabilità del medico e preferenze del paziente.

Quindi un approccio razionale prevede inizialmente una consulenza cardiologica con prima valutazione di familiarità, abitudini di vita (fumo, attività fisica, alimentazione), esami del sangue di base, eventuali fattori di rischio già noti ed eventi clinici maggiori, se già verificatisi.

A questa potrà seguire, generalmente in una minoranza di casi, la prescrizione di ulteriori esami ematochimici e strumentali (come una ecografia delle carotidi, un ecocardiogramma, un test da sforzo, o altri), se indicati, in base al quadro clinico complessivo e alla probabilità stimata di malattia preclinica o del ”rischio residuo” post-evento. Acquisiti tali dati, il cardiologo consiglierà un piano terapeutico personalizzatosia in termini di stile di vita che di terapia farmacologica, ed un programma di controlli nel tempo, anche in questo caso in funzione della “gravità” della situazione iniziale. Il cardiologo consiglierà, qualora servisse una consulenza nutrizionale con un nutrizionista ed eventualmente diabetologica con uno specialista in diabetologia.

Infine è utile ricordare come, in relazione al fatto che la patologia aterosclerotica può iniziare a svilupparsi relativamente presto nella vita e all’aumento dell’obesità infantile e adolescenziale, è stato avanzato il concetto di “Prevenzione Primordiale della Patologia Cardiovascolare” secondo cui l’impegno per la riduzione delle malattie cardiovascolari dovrebbe iniziare precocemente nella vita, contrastando la tendenza alla sedentarietà e all’obesità.

Età biologica ed età cronologica

Infine, di particolare interesse, e già trasferibile alla pratica clinica quotidiana nella valutazione del rischio cardiovascolare è la stima dell’età biologica. Abbiamo ricordato come vi sia una stretta associazione tra età cronologica e malattia aterosclerotica. Peraltro, è esperienza comune che ad una stessa età cronologica soggetti diversi possono trovarsi in condizioni di salute anche molto diverse. Questo concetto si applica anche alle arterie, la cui età biologica può essere stimata da semplici misure non invasive della loro rigidità. È dimostrato che queste misure possono integrare la stima del rischio cardiovascolare, e contribuire a guidare le decisioni diagnostiche e terapeutiche soprattutto nei soggetti a rischio intermedio

Bibliografia

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