COVID-19 e AIDS: impatto della pandemia da SARS-COV2 sulla ricerca e il trattamento dell’HIV
3 Dicembre 2020
Il COVID-19 è una malattia altamente contagiosa che si configura come asintomatica o pauci-sintomatica nella maggior parte dei casi. Tuttavia, le persone di età avanzata o che presentano condizioni patologiche preesistenti sono a rischio di sviluppare una malattia grave o addirittura di morire. La raccomandazione dell’OMS per il distanziamento fisico per limitare la diffusione di COVID-19 ha comportato un costo economico e psicosociale significativo.
Molte sono le persone che stanno affrontando notevoli problematiche dovute alla disoccupazione o alla sottoccupazione, nonché all’ansia, alla paura e al dolore. Inoltre, molte famiglie devono affrontare lo stress aggiuntivo di gestire le esigenze educative virtuali dei bambini in età scolare a causa della chiusura delle scuole.
In Cina, Spagna, Germania, Italia e Stati Uniti sono stati pubblicati diversi studi su una serie di casi di pazienti affetti da HIV con COVID-19. Finora non ci sono prove chiare che indichino un maggiore tasso di infezione da COVID-19 o decorso della malattia diverso nelle persone con HIV rispetto alle persone HIV negative. Inoltre da una parte vi sono studi che affermano che chi è affetto da HIV potrebbe non sviluppare una forma grave di COVID-19 grazie al fatto che queste persone assumono farmaci antiretrovirali e sono quindi in qualche modo protetti. Altri studi invece affermano che coloro che hanno l’infezione da HIV non ben gestita (non assumono farmaci antiretrovirali o hanno una conta di linfociti CD4 minore di 200) possano essere a maggior rischio di sviluppare il COVID-19 perché il loro sistema immunitario è compromesso.
Quest’ultimi inoltre hanno un rischio maggiore di manifestare sintomi gravi o di morire. A tutto ciò si associa l’alta probabilità che in questo periodo i pazienti affetti da HIV interrompano il trattamento a causa delle restrizioni sociali e del fatto che le visite mediche non urgenti vengano procrastinate. Ovviamente tale evenienza va a peggiorare notevolmente le condizioni di salute di questi pazienti.
Somiglianze e differenze tra COVID-19 e HIV
L’HIV è un membro del genere Lentivirus e fa parte della famiglia Retroviridae. I lentivirus sono caratterizzati da lunghi periodi di incubazione e durata della malattia. L’HIV agisce principalmente impoverendo le cellule del sistema immunitario, vale a dire i macrofagi e le cellule CD4 +, il che rende vulnerabili alle infezioni opportunistiche. A livello globale, il sottotipo HIV-1 è responsabile della maggior parte delle infezioni, mentre il sottotipo HIV-2 è più diffuso in Africa occidentale. La trasmissione dell’HIV avviene attraverso l’esposizione a fluidi corporei infetti (p. Es., Sangue, sperma, fluidi vaginali, latte materno).
Le vie di trasmissione più comuni sono i rapporti sessuali senza preservativo, l’uso di droghe per via endovenosa, l’esposizione professionale e il passaggio da madre a figlio durante la gravidanza, il parto o l’allattamento.
Comparativamente, la sindrome respiratoria acuta grave provocata da SARS-CoV-2, noto anche come il nuovo coronavirus del 2019 (2019-nCoV), è responsabile della pandemia COVID-19. A differenza dell’HIV, SARS-CoV-2 è un’infezione respiratoria acuta con un breve periodo di incubazione. SARS-CoV-2 è un virus a RNA a filamento singolo con senso positivo, geneticamente simile a SARS-CoV , osservato nel 2003. Il nuovo SARS-CoV-2 appartiene al genere β-CoVs (Betacoronavirus) e al sottogenere Sarbecovirus. Le prove più recenti mostrano che le principali vie di trasmissione sono le goccioline respiratorie e il contatto.
La ricerca preliminare ha anche mostrato vi è una potenziale trasmissione anche per via oro-fecale. La ricerca simultanea fornisce alcune prove che il virus è vitale su superfici di plastica e acciaio ma meno vitale su cartone o rame. La durata della diffusione virale di SARS-CoV-2 o il periodo di infettività rimane sconosciuta; tuttavia, si ritiene che il periodo di incubazione sia simile a quello di altri coronavirus, che è di 2-14 giorni. Rimane tuttora controversa la possibile trasmissione verticale del virus. Finora sono stati pochi gli studi che abbiano evidenziato casi di trasmissione perinatale, invece molti più studi hanno mostrato che tale tipo di trasmissione non è usuale. Le donne affette da COVID-19 che molto spesso partoriscono pretermine tramite taglio cesareo.
Quanto può diffondere il contagio da HIV e quello SARS-COV2
Il numero di riproduzione di base (Rt) è definito come il numero atteso di casi secondari quando un caso interagisce con una popolazione suscettibile. Le popolazioni suscettibili sono quelle senza alcuna immunità acquisita tramite precedente esposizione o immunizzazione. Come descritto da Hsieh e Wang, Rt è stato utilizzato per determinare la capacità delle malattie infettive emergenti di diventare endemiche. I valori Rt sono altamente suscettibili agli interventi (p. Es., Uso di farmaci, resistenza ai farmaci, modifica del comportamento). Si è visto che nel complesso, l’HIV ha un valore Rt relativamente basso quando viene utilizzata la terapia antiretrovirale.
Invece il valore Rt di SARS-CoV-2 è alto. Liu e colleghi hanno riportato un Rt medio di 3,28. Per il contesto, è importante confrontare SARS-CoV-2 con altre infezioni respiratorie. In una revisione sistematica condotta per determinare i valori Rt per le infezioni da influenza pandemica e stagionale, Biggerstaff e colleghi hanno identificato la seguente media di valori di Rt: 1,80 (pandemia H1N1 del 1918); 1,65 (pandemia di H2N2 del 1957); 1,80 (pandemia H3N2 del 1968); 1,46 (pandemia di SARS-CoV del 2009) e 1,28 (influenza stagionale). Da questi dati si nota che il nuovo coronavirus presenta tassi di trasmissibilità più elevati rispetto all’influenza e all’HIV.
Impatto a breve e lungo termine del COVID-19 sul trattamento dell’HIV
Il COVID-19 ha modificato significativamente la vita quotidiana delle persone in tutto il mondo. L’unica strategia per poter contenere il contagio si basa sul distanziamento sociale che passa attraverso l’interruzione di numerose attività commerciali, la chiusura delle scuole, palestre, piscine, cinema, teatri e ogni luogo di possibile aggregazione sociale. Oltre a quelli che sono gli effetti a breve termine provocati dal COVID-19 è fondamentale tener conto anche delle ripercussioni che la costrizione al cambiamento di vita di questi giorni avrà sul futuro prossimo.
Sicuramente l’inefficienza dell’assistenza sanitaria nei confronti di malati cronici (a causa del sovraccarico del SSN) come possono essere i pazienti affetti da HIV, avrà una risonanza nel tempo non di poco conto. Inoltre questi pazienti nello sforzo di adattarsi alle nuove regole imposte dal problema COVID-19 soffriranno di varie problematiche non solo in ambito biologico ma anche psicologico e sociale.
Impatto biologico di COVID-19 sul trattamento dell’HIV
Le persone con HIV che non riescono a gestire al meglio l’infezione nella maggior parte dei casi sviluppano l’AIDS ovvero la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita. Quest’ultima identifica uno stadio clinico avanzato dell’infezione da HIV. È una sindrome che può manifestarsi nelle persone con HIV anche dopo diversi anni dall’acquisizione dell’infezione, quando le cellule CD4 del sistema immunitario calano drasticamente e l’organismo perde la sua capacità di combattere anche le infezioni più banali (infezioni/malattie opportunistiche). Il particolare periodo storico che stiamo vivendo mette a repentaglio la possibilità di assistenza e cura dei pazienti HIV positivi. Da una parte vi è la riluttanza dei pazienti di recarsi a visita, fondamentalmente per paura di contrarre il COVID-19, dall’altra parte vi è la notevole difficoltà del SSN di far fronte alle esigenze dei pazienti cronici per carenza di personale e per sovraccarico delle strutture.
Impatto psico-sociale del COVID-19 sul trattamento dell’HIV
L’HIV e il COVID-19 hanno in comune la paura e l’ansia legate alla trasmissione. Il clima di terrore che si è creato va a promuovere la stigmatizzazione dei pazienti affetti da COVID-19. Lo stigma correlato all’HIV è ben consolidato da tempo. Chi è HIV positivo si sente infatti come “segnato” e quindi emarginato dalla società. Tutto ciò ha da sempre avuto ripercussioni sull’aderenza alla terapia. Proprio per questo motivo la ricerca studia interventi efficaci di riduzione dello stigma dell’HIV (vedere Stangl e colleghi). Esistono prove emergenti del carico sulla salute mentale della paura pandemica correlata al COVID-19 e il suo potenziale impatto sul comportamento preventivo. Ci sono anche prove emergenti di stigma e discriminazione relative al COVID-19.
Data la natura senza precedenti dell’epidemia di COVID-19, le ripercussioni psicologiche sono notevoli in tutto il mondo. Sicuramente a soffrirne in particolare sono tutte le persone affette da una o più patologie croniche. È il caso per l’appunto dei pazienti HIV positivi. Quest’ultimi infatti sviluppano una risposta allo stress molto forte che sfocia nell’ansia. Stato ansioso riferibile principalmente al terrore di poter contrarre il COVID-19 essendo già in uno stato di compromissione del sistema immunitario. Inoltre i pazienti HIV positivi hanno una probabilità da due a quattro volte maggiore di sviluppare depressione rispetto a coloro che non hanno il virus.
Il distanziamento fisico necessario per contrastare la diffusione del COVID-19 può aumentare la solitudine, che a sua volta può esacerbare i sintomi depressivi. Agli studi hanno evidenziato che i pazienti HIV positivi affetti da depressione presentano un decorso più grave della malattia e una mortalità maggiore. Probabilmente tutto ciò è dovuto alla scarsa aderenza alla terapia antiretrovirale dettata da sentimenti di inutilità, pensieri di morte o suicidio. Si prospetta pertanto che quando la pandemia COVID-19 sarà terminata, la ripercussione più grande sarà soprattutto a livello psicologico e necessiterà di interventi mirati ed efficaci.
Riconoscendo l’impatto sulla salute mentale di COVID-19, l’OMS ha pubblicato raccomandazioni per affrontare problemi di salute mentale e psicosociali durante l’epidemia di COVID-19. Dal punto di vista sociale, ricordiamo che molti pazienti HIV positivi vivono in contesti molto spesso disagiati, trattandosi per esempio di pazienti poveri, tossicodipendenti ecc. che possono non avere un facile accesso alle cure.
Impatto a breve e lungo termine di COVID-19 sulla ricerca sull’HIV
Le istituzioni accademiche e di ricerca hanno in questo periodo la priorità di concentrare le proprie forze per contrastare la pandemia di COVID-19. Tutto ciò implica quindi un cambiamento delle loro attività di ricerca. Nel breve termine, ciò si traduce in ritardi nell’ambito della ricerca contro l’HIV, anche perché quando possibile è necessario passare a metodi di raccolta dati a distanza. La ricerca perderà terreno purtroppo nella lotta contro l’HIV e ciò accadrà anche per tante altre patologie croniche come malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro.
Le implicazioni a lungo termine sono invece più difficili da presagire. Molti ricercatori ipotizzano che i futuri finanziamenti alla ricerca non COVID-19 subiranno riduzioni. Più specificamente, si prevede un calo del sostegno filantropico e governativo e dei finanziamenti per la ricerca e le sovvenzioni.
Cosa si può fare per opporsi a tale situazione?
Al fine di contrastare il progredire della malattia dei pazienti HIV positivi è molto importante mantenere l’aderenza terapeutica. Si stanno pertanto sviluppando delle strategie per ottenere questo obiettivo attraverso l’impiego di piattaforme di telemedicina. Quest’ultime prevedono il monitoraggio dei parametri dei pazienti e l’effettuazione di video consulti con medici specialisti e psicologi. Negli USA per esempio la “Task Force” congiunta dell’”American Psychological Association (APA)” sta sviluppando delle linee guida relative alla telepsicologia con gli psicologi. Tutto ciò può essere particolarmente utile per fornire un servizio di salute mentale.
Le emergenze pandemiche hanno la capacità di smascherare tutti i punti critici nei vari contesti sociali, politici ed economici. Ruolo cruciale è senza dubbio affidato agli operatori sanitari e della salute mentale che necessariamente devono impegnarsi nel promuovere tutte quelle azioni che hanno funzione non solo terapeutica ma anche e soprattutto preventiva. Si confida molto pertanto nell’azione risolutiva che potrebbe avere il vaccino per SARS-COV2. Importante è però senza dubbio anche l’azione politica finalizzata alla riduzione dei divari sociali ed economici, in modo tale da garantire a tutti indistintamente la possibilità di cura e prevenzione.