Natalità in Italia: l’inverno demografico

29 Agosto 2023

Prof. Roberto Miniero – già Prof. ordinario in Pediatria

Al 31 dicembre 2022 la popolazione italiana era composta da circa 60 milioni di abitanti. Del totale poco meno del 18% erano in età pediatrica (0-19 anni). Uno dei dati più bassi nella nostra storia.

Natalità in Italia

La natalità in Italia è la più bassa in Europa ed il nostro Paese è capofila tra i paesi europei nella corsa verso la lowest-low fertility. Questo sta conducendo al cosiddetto “inverno demografico” ovvero un fenomeno che sta affliggendo il nostro Paese da vari decenni e dovuto, tra le altre cose, al rallentamento ed alla stagnazione nella crescita della popolazione e che riconosce nella denatalità il principale fattore.

La popolazione italiana é composta da circa 60 milioni di abitanti, per la precisione, al 31 dicembre 2022, i residenti in Italia sono 58.850.717 circa 179.416 in meno rispetto all’inizio dello stesso anno. Del totale poco meno del 18% sono in età pediatrica (0-19 anni). [1,2]

A contribuire a questo dato, al 31 dicembre 2022, si stima inoltre una presenza di 5.050.257 cittadini stranieri, in aumento di 20 mila unità (+3,9 per mille) sull’anno precedente, con un’incidenza dei residenti sulla popolazione totale dell’8,6%. [1,2]

EtàMaschiFemmineNumero totale%* su tot popolazione italiana
0-41.138.845
(51,4%)
1.077.665
(48,6%)
2.216.5103,7%
5-91.326.061
(51,4%)
1.252.279
(48,6%)
2.578.3404,4%
10-141.463.873
(51,5%)
1.377.822
(48,5%)
2.841.6954,8%
15-191.476.815
(51,7%)
1.380.198
(48,3%)
2.857.0134,8%
Popolazione pediatrica in Italia al 31 dicembre 2021 suddivisa per fasce di età e sesso. Le percentuali sono calcolate sull’intera popolazione pari a 59.236.213 di abitanti. (dati ISTAT) [1-4]

La popolazione italiana sta attraversando una fase prolungata di invecchiamento, che sembra potersi amplificare con il tempo: si conta infatti che gli individui fino ai 14 anni d’età rappresentino solo il 12,9%, dato che, secondo le previsioni, potrebbe diminuire fino ad arrivare all’11,7% entro il 2050 e ciò è ben evidente studiando la figura sottostante. [4,5]

Struttura, per età, della popolazione italiana dal 1961 al 2020*

Storia della natalità in Italia

All’inizio del secolo scorso nascevano più di un milione di bambini l’anno (1.057.763 nel 1901) e, fino al 1948, il numero di nascite si è mantenuto stabile (intorno al milione/anno) ad eccezione degli anni 1916-1918 e 1940-1945 in cui si è avuto un calo significativo legato agli eventi bellici. [1-3]

Il 1964 è l’ultimo anno in cui le nascite hanno superato, anche se di poco, il milione, infatti, negli anni successivi tale dato ha manifestato una progressiva riduzione che si è accentuata nell’ultimi due decenni come emerge dalla tabella riportata in basso. [1-4]

19481.005.851
1958870.468
1968930.172
1978709.043
1988569.698
1998531.548
2008569.366
2021400.249
2022392.598
Nati in Italia dal 1948 al 2023 (dati ISTAT) [1]

2022: nuovo record negativo

Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite che, per la prima volta dall’Unità d’Italia, scende sotto le 400 mila con una riduzione, dal 2008, di circa un terzo. La diminuzione osservata negli ultimi 15 anni è attribuibile, prevalentemente, al calo dei nati da coppie di genitori italiani (147 mila nascite in meno rispetto al 2011) anche se, sebbene in misura minore, sono diminuiti anche i nati da genitori stranieri: da 80 mila nel 2012 a 56.700 nel 2021. [1]

L’ indice di natalità in Italia (numero di nascite x 1000 abitanti) nel 2021 è stato, per la seconda volta, il più basso al mondo in assoluto: 7,3 contro gli Stati Uniti con 11,6; l’Inghilterra 11,7; la Cina 11,3; la Germania 8,3; la Francia 11,2; la Spagna 8,3; il Giappone: 7,0 e India: 17,7. [5] In tabella è riportato l’indice di natalità in Italia e nei paesi europei con riferimento al 2020. [6]

Tasso di natalità nei paesi europei, 2020 (nati per 1.000 abitanti). Fonte: Elaborazione Censis su dati Istat

Fecondità e natalità in Italia

La fecondità in Italia nel 2022 si è mantenuta in linea con quella del 2021 e 2020 attestandosi in media, a 1,24 figli per donna. La stessa di mantiene più elevata nel Nord del Paese, con 1,27 figli per donna nel 2020 (in calo rispetto a 1,31 del 2019 e all’ 1,44 del 2008) e leggermente più bassa, nel Mezzogiorno dove scende da 1,26 del 2019 a 1,23 nel 2020 (era l’1,34 nel 2008). Dati ancora minori si osservano al Centro dove la stessa fecondità passa rispettivamente da 1,19 nel 2019 a 1,17 nel 2020 e pensare che nel 2008 era di 1,39. [5,7]

La elaborazione del Censis su dati ISTAT e relativa al 2019 evidenzia un tasso di fecondità medio complessivo di 1,27: 1,18 per le mamme italiane e di 1,98 per le mamme straniere.[6] 

Nel 2003 i valori erano: tasso di fecondità medio 1,29; tasso di fecondità per le donne italiane 1,24; tasso di fecondità per le donne straniere 2,52. Leggendo i dati, quindi, nonostante le donne straniere facciano più figli rispetto a quelle italiane, anche a seguito di una maggiore integrazioni sociale, il tasso di natalità, per le stesse, si è molto ridotto.[5]Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, erano quelle dell’Africa (28,0%) e dell’Est Europa (21,4%).

Età delle madri

Secondo i dati ISTAT, nel 2021 l’età media delle partorienti al primo figlio era di 33,1 anni per quelle italiane (31,2 nel 2010) e di 31 anni per quelle straniere. con una diminuzione, rispetto all’anno precedente, del 5,6% di nati da madre con età inferiore ai 24 anni. [7]

Prendendo in considerazione la cittadinanza delle partorienti, nel 2021 circa il 20% dei neonati erano nati da una mamma non italiana. [5]

Tale fenomeno era più diffuso nelle aree del Paese con maggiore presenza straniera, ovvero al Centro-Nord.

L’età media delle partorienti al primo figlio in Italia, negli anni 1999-2014 è rappresentata nella figura seguente.[1] 

Natalità in Europa

La tendenza ad avere meno figli è un fenomeno che ha investito la gran parte dei paesi europei. Anche Francia e Germania, così come l’Italia, hanno raggiunto il loro minimo storico attorno alla metà degli anni Novanta: la Francia nel 1993, con un tasso pari a 1,66, nel 1994 la Germania con un tasso dell’1,25.[5]

Al contrario di quanto accaduto in Italia, però, la ripresa successiva è stata più intensa e veloce; così, se attorno alla metà degli anni Novanta le differenze tra Germania e Italia nel numero medio di figli per donna erano minime, oggi i due paesi si distanziano maggiormente. [5,7,8]

Anche l’età media delle donne nell’Unione Europea al momento del parto del primo figlio sta gradualmente aumentando e si è attestata a 29,4 anni nel 2019 (range: 26,4 in Bulgaria a 31,4 in Italia), come illustrato nella figura in basso (Dati EUROSTAT 2020.[8].

L’età media al parto delle donne residenti in Francia e Germania è stata nel 2021, rispettivamente di 31,0 e 31,5 anni; quindi, più bassa di 1 anno e mezzo e di un anno circa rispetto a quella delle donne residenti in Italia che a sua volta risulta più bassa di due mesi rispetto alla Spagna che nel 2021 si attesta attorno ai 32,6 anni. [5]

Età media delle donne alla nascita del primo figlio (fonte: Eurostat 2020)

Il crollo della natalità

Il crollo della natalità in Italia è un problema complesso e riconosce diverse cause. Tra le principali si ricordano: 

  • Invecchiamento della popolazione: l’età media della popolazione italiana è tra le più alte d’Europa. In particolare, tra le cause del calo delle nascite pesa la riduzione della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerata riproduttiva (dai 15 ai 49 anni). Nel 2022 si contavano 126 donne di 35-49 anni ogni 100 donne di 20-34 anni. [4,5,7,9].
  • Ritardo nella formazione di una famiglia: sempre più giovani italiani ritardano il momento di avere figli a causa di motivi come l’istruzione, la carriera, la mancanza di stabilità economica ecc. [5,7,9]
  • Difficoltà economiche delle famiglie (crisi economica del Paese): la crisi economica degli ultimi anni ha messo a dura prova la situazione finanziaria di molte famiglie italiane, rendendo difficile l’idea di avere figli e mantenerli. [5,7,9] Il presidente del Censis Giuseppe De Rita ha tuttavia ribadito recentemente che<< non è la (presunta) pauperizzazione dei ceti medi ad essere la causa principale per il numero sempre minore di nuovi nati>> ma <<…un problema di dittatura dell’io. Una società che non sa più dire ‘noi’ non fa figli>> [4,5,7].
  • Mancanza di concilizione su orari flessibili del lavoro e/o su altre modalità di lavoro. [6]
  • Difficoltà nell’accesso ai servizi per l’infanzia come asili nido e scuole materne, che permettano loro di conciliare il lavoro e la famiglia. [5,7,9]
  • Scarsa politica di sostegno alla famiglia in termini di politiche fiscali, servizi sociali e assegni familiari, che limita le possibilità di avere figli e mantenere una famiglia. [5,7,9]
  • Pandemia da COVID-19 Non ultimo i dati ISTAT relativi al 2021 mostrano come la fecondità nel nostro sia stata colpita pesantemente anche dalla pandemia da COVID-19. [7]

Il pensiero di Roberto Impicciatore e Rossella Ghini

Roberto Impicciatore e Rossella Ghigi già nel 2016 affermavano che <<la storia delle strategie procreative e del family planning di tutti i paesi industrializzati vede da vari decenni la tendenza a collocare la decisione di avere figli entro una “cultura della scelta” oltre che della “responsabilità”, focalizzandosi sulla dimensione relazionale (e non strumentale) della famiglia e sul valore del figlio come bene in quanto tale.

Questa integrazione del principio di responsabilità con quello del desiderio si è storicamente tradotta nell’assunto per cui ogni coppia dovrebbe poter avere figli solo quando li desidera e, viceversa, nell’idea che ogni figlio desiderato debba poter nascere, il che ha moltiplicato i ricorsi a tecnologie contraccettive, ma anche riproduttive. Diventare genitori è sempre di più, anche nel nostro paese, un processo riflessivo, progressivo e soggetto a grande variabilità. Simili tendenze si inseriscono a loro volta nel quadro della cosiddetta Seconda Transizione Demografica che pone alla base delle trasformazioni sociodemografiche degli ultimi decenni un cambiamento relativo ai valori e al meaning-giving system. Secondo questa prospettiva, ad esempio, quando il ruolo genitoriale è vissuto come limite ai progetti di auto-realizzazione, prevale la decisione di non avere figli (o di averne pochi)>>. [10]

Conclusione

Per concludere come ha scritto Alessandro Rosina su Il Sole24 ore  già nel 2020 << La demografia conta: influenza economia, mercato del lavoro, salute pubblica, sviluppo. In Italia il calo delle nascite avrà effetti futuri negativi. Per questo bisogna intervenire ora. I Paesi che non prendono sul serio la demografia ne pagano le conseguenze addebitandone i costi sul conto delle nuove generazioni. Costi che in Italia sono destinati a crescere in modo abnorme se non si interviene con politiche efficaci in grado di contrastare lo scadimento del rapporto quantitativo e qualitativo tra vecchie e nuove generazioni>> [11]

Riferimenti bibliografici

  1. ISTAT – Archivio popolazione residente (LINK).
  2. ISTAT – Report previsioni demografiche 2021 (LINK).
  3. ISTAT. Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese.
  4. Il Sole24ore – 20 marzo 2023 (LINK).
  5. Miniero R, Mazza GA, Talarico V, Giancotti L. La natalità in Italia. In press su Pediatria Pratica. XI Edizione. G. Bona e R. Miniero (Eds). Minerva Medica. Torino. 2023
  6. Agi: Transizione demografica: le ragioni della denatalità secondo gli italiani. (LINK)
  7. Minotti A. Inverno demografico: un’analisi delle cause socioculturali della denatalità in Italia. Università degli Studi di Padova. Tesi di Laurea in Scienze Sociologiche. AA 2021/2022 
  8. EUROSTAT – Fertility statistics. (LINK)
  9. De Curtis M.: Denatalità. L’Italia sta scomparendo. Pediatria 2023.13(3):10-13.
  10. Impicciatore R, Ghigi R. L’inverno demografico. Quaderni di Sociologia.2016:72:7-29
  11. Rosina A. Perché un Paese che ha abolito i figli non può sperare nella rinascita (LINK)

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