La vitamina D protegge dalle infezioni respiratorie acute? Previene o cura il Covid-19?
23 Dicembre 2020
La vitamina D è un ormone steroideo prodotto per via endogena grazie all’effetto delle radiazioni ultraviolette sulla pelle. Inoltre è disponibile da fonti alimentari esogene o grazie all’assunzione di integratori alimentari.
L’insufficienza di questa vitamina è un problema di salute pubblica. Colpisce oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. Negli ultimi dieci anni, diversi studi hanno dimostrato che esiste un legame tra la carenza di vitamina D e l’insorgenza di varie malattie, inclusa l’infezione sistemica. Si è visto infatti che la vitamina D esercita un ruolo di immunomodulazione e aumenta l’immunità innata mediante secrezione di peptidi antivirali.
In diversi studi clinici si è visto che bassi livelli di vitamina D sierica si associano ad infezioni acute del tratto respiratorio inclusa l’influenza stagionale. Una recente meta-analisi che incorpora i dati di otto studi osservazionali ha riportato che i soggetti con una concentrazione sierica di vitamina D <50 nmol /l (cioè <20 ng /ml) avevano un rischio aumentato del 64% di polmonite acquisita in comunità. Alcune revisioni recenti hanno ipotizzato che l’insufficienza di vitamina D possa compromettere le difese immunitarie del tratto respiratorio, aumentando così il rischio di gravità e di mortalità del COVID-19.
Dati recenti hanno evidenziato che la vitamina D ha effetti antivirali e che può ostacolare direttamente la replicazione virale, ed essere anche efficace come agente antinfiammatorio e immunomodulante. Sembra che SARS-CoV-2 sfrutti principalmente un suo meccanismo grazie al quale riesce ad eludere le difese immunitarie dell’organismo. SARS-CoV-2 utilizza l’enzima 2 di conversione dell’angiotensina come recettore per entrare nelle cellule epiteliali alveolari e intestinali dell’ospite.
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Vitamina D e meccanismi per diminuire le infezioni virali.
È noto che la vitamina D stimola l’immunità innata e modula l’immunità acquisita, spiegando almeno in parte come la vitamina D possa combattere le infezioni respiratorie acute. Studi recenti hanno esplicitato alcuni percorsi attraverso i quali la vitamina D riduce il rischio di infezioni microbiche. La vitamina D segue diversi meccanismi per ridurre il rischio di infezione virale e mortalità. Nello specifico utilizza tre percorsi: barriera fisica, immunità naturale cellulare e immunità adattativa. Questi comprendono il mantenimento delle giunzioni cellulari e delle giunzioni gap, l’aumento della risposta da parte dell’immunità cellulare, la diminuzione della tempesta di citochine con influenza sull’interferone γ e sul fattore di necrosi tumorale α e la regolazione dell’immunità adattativa attraverso l’inibizione delle risposte delle cellule T helper di tipo 1 e la stimolazione dell’induzione delle cellule T.
È stato anche scoperto che l’integrazione di vitamina D aumenta la conta delle cellule T CD4 + nell’infezione da HIV. A tal proposito una recente meta-analisi ha evidenziato che la supplementazione di vitamina D protegge dalle infezioni respiratorie acute. In questa meta-analisi sono stati inclusi ben 25 studi randomizzati controllati per i quali erano disponibili i dati completi di quasi 11000 singoli pazienti. Le analisi dei sottogruppi hanno rivelato che il beneficio è stato osservato in coloro che hanno ricevuto dosi frequenti di vitamina D e che l’effetto è stato maggiore quando la vitamina D è stata somministrata a soggetti che ne avevano carenza.
Dato che la carenza di vitamina D è molto comune, specialmente durante la stagione ‘fredda’ a causa della mancanza di esposizione alla luce solare, e dato che il confinamento in casa impedisce l’esposizione alla luce solare per molte persone in tutto il mondo in questi ultimi mesi, molti Autori ritengono che l’integrazione di vitamina D debba essere incoraggiata, almeno negli individui che presentano fattori di rischio che li espongono a svilupparne la carenza (es. obesità, vecchiaia, pelle scura, nessuna esposizione al sole).
Una delle principali manifestazioni dell’infezione grave da SARS-CoV-2 è la linfopenia. Si è visto che sia nei modelli murini che nelle linee cellulari umane, la vitamina D esercita una certa attività nel tessuto polmonare e svolge effetti protettivi sull’insorgenza della polmonite interstiziale. Diversi studi in vitro hanno dimostrato che la vitamina D gioca un ruolo significativo nell'”omeostasi respiratoria” locale stimolando la produzione di peptidi antimicrobici o interferendo direttamente con la replicazione dei virus respiratori. L’insufficienza di vitamina D può quindi essere coinvolta nell’ARDS e nell’insufficienza cardiaca dei soggetti gravemente malati di COVID-19.
La rilevanza della vitamina D per COVID-19.
È importante chiarire completamente i meccanismi di virulenza di COVID-19. Tra questi vi sono diversi meccanismi cellulari tra cui la replicazione mediata dalla proteasi simile alla papaina (PLpro) e il legame col recettore dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4 / CD26). A proposito di questo recettore DPP-4/CD26 è stato dimostrato che esiste una connessione con il dominio S1 della glicoproteina spike del COVID-19, suggerendo pertanto che potrebbe giocare un ruolo importante nella sua virulenza.
L’espressione del recettore DPP-4/CD26 si riduce in modo significativo in vivo in seguito alla correzione dell’insufficienza di vitamina D. Inoltre si è visto che se si mantengono livelli adeguati di vitamina D si possono ridurre alcune delle sequele immunologiche sfavorevoli a valle che si ritiene possano provocare esiti clinici più gravi nell’infezione da Covid-19, come l’aumento dell’interleuchina 6 e la risposta ritardata dell’interferone-gamma.
Uno studio su donne sane negli Stati Uniti ha trovato una significativa relazione inversa tra i livelli sierici di 25 (OH) D e TNF-alfa. In un altro rapporto, è stato riscontrato che i livelli di IL6 erano aumentati in coloro che erano carenti di vitamina D. In un’ampia varietà di studi su animali e modelli cellulari in vitro, è stato dimostrato che la vitamina D3 sottoregola la produzione di citochine infiammatorie, come TNF-alfa e IL6, aumentando nel contempo le citochine inibitorie. Questi studi sollevano la possibilità che livelli adeguati di vitamina D possano ridurre l’incidenza della tempesta di citochine, che può verificarsi nel COVID-19.
Nei pazienti COVID-19 la gravità della malattia è spesso determinata dalla presenza di polmonite/sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), miocardite, trombosi microvascolare e/o tempesta di citochine, che sono tutte provocate dall’infiammazione sottostante. Mentre le cellule T CD8 specifiche per COVID-19 e gli anticorpi specifici prodotti dalle cellule B sono fondamentali per l’eliminazione del virus, l’infiammazione aspecifica incontrollata e il rilascio di citochine possono causare danni catastrofici ai polmoni e ad altri organi vitali. Di conseguenza, la riduzione di questa infiammazione precoce non specifica durante COVID-19 può fornire tempo per lo sviluppo di un’immunità acquisita specifica contro il COVID-19.
Una delle difese principali contro l’infiammazione incontrollata e contro l’infezione virale in generale è fornita dai linfociti T regolatori (Treg). È stato riportato che i livelli di Treg sono bassi in un gruppo di pazienti COVID-19 e “notevolmente inferiori nei casi gravi”. In uno studio su pazienti anziani in case di cura, è stato riscontrato che alti livelli ematici di Treg erano associati a un livello ridotto di malattia virale respiratoria. Queste osservazioni suggeriscono che se i livelli di Treg aumentano potrebbe esserci una diminuzione della gravità della malattia virale e quindi forse anche del COVID-19.
I livelli di Treg si possono aumentare con l’integrazione di vitamina D.
Le complicanze trombotiche sono comuni nei pazienti COVID-19. Più della metà dei pazienti con malattia grave ha livelli elevati di D-dimero. È interessante notare che la vitamina D è anche coinvolta nella regolazione delle vie trombotiche e la carenza di vitamina D è associata ad un aumento degli episodi trombotici. È stato anche riscontrato che la carenza di vitamina D si verifica più frequentemente nei pazienti con obesità e diabete.
Effetti benefici dell’integrazione di vitamina D.
Ad oggi le informazioni sui potenziali fattori che potrebbero avere un’azione protettiva nei confronti del COVID-19 sono limitate. Al momento, non ci sono prove chiare che l’integrazione di vitamina D prevenga la gravità e la mortalità del COVID-19. Ci sono diversi studi randomizzati registrati per valutare il ruolo della vitamina D nelle infezioni e nella gravità di COVID-19 in corso che però non hanno ancora riportato i loro risultati.
Fino ad ora, esiste un piccolo studio di coorte che ha dimostrato gli effetti protettivi della combinazione di vitamina D, Mg e vitamina B12 contro il deterioramento clinico del COVID-19.
In una precedente meta-analisi, l’integrazione di vitamina D si è dimostrata sicura ed efficace nella prevenzione delle infezioni acute del tratto respiratorio. Gli autori hanno anche notato che il ruolo protettivo della vitamina D era elevato nei soggetti con livelli sierici di 25 (OH) D basali <25 nmol / L rispetto a quelli con concentrazioni sieriche di 25 (OH) D> 25 nmol / L. Nello stesso studio, l’analisi dei sottogruppi ha indicato che l’assunzione giornaliera o settimanale di vitamina D (senza dosi bolo aggiuntive) ha mostrato effetti protettivi contro le infezioni acute delle vie respiratorie, specialmente nelle persone con carenza di vitamina D.
Si è anche scoperto che l’integrazione di D aumenta l’espressione genica correlata all’antiossidazione (subunità modificatore della glutatione reduttasi). L’aumento della produzione di glutatione risparmia l’uso della vitamina C, che ha potenziali attività antimicrobiche ed è stato suggerito per prevenire e curare l’infezione da COVID-19.
Uno studio ha riportato che l’assunzione di integratori di vitamina D a 100-250 μg / giorno per 6 settimane aumenta la concentrazione sierica di base di 25 (OH) D da 2 a 3 volte, rispettivamente, senza effetti negativi sulla salute.
È giusto assumere integratori di Vitamina D?
Nonostante la mancanza di prove dirette di un possibile effetto della vitamina D sull’infezione da COVID-19, si ritiene che la carenza di vitamina D sia un fattore di rischio per lo sviluppo di infezioni respiratorie acute facilmente modificabile. Tale carenza può essere facilmente corretta attraverso l’assunzione di integratori a base di vitamina D che sono poco costosi, sicuri e prontamente disponibili. Quindi dalla letteratura, vale la pena suggerire di assumere fino a 250 μg/giorno per un mese, il che è efficace per aumentare i livelli sierici di 25 (OH) D nell’intervallo ottimale tra 75 e 125 nmol / L.
La dose può essere ridotta a 100 μg/giorno dopo un mese per mantenere le concentrazioni circolanti di 25 (OH) D. Tuttavia la risposta sierica alla dose data è ampiamente varia tra gli individui a causa delle differenze nelle variabili demografiche e biologiche, come etnia, età, durata dell’esposizione, variazioni stagionali, indice di massa corporea, assunzione di alcuni farmaci, concentrazione basale di vitamina D, genetica e tipo di integratori di vitamina D. La supplementazione deve ovviamente avvenire sotto la supervisione del medico.
Quindi in conclusione si può affermare che le persone a maggior rischio di carenza di vitamina D durante questa pandemia dovrebbero prendere in considerazione l’assunzione di integratori di vitamina D per mantenere la 25 (OH) D circolante a livelli ottimali (75–125 nmol / L). Tuttavia, oggi non ci sono prove sufficienti sull’associazione tra i livelli di vitamina D e la gravità e la mortalità del COVID-19. Pertanto, sono necessari studi randomizzati controllati e studi di coorte su larga scala per verificare questa ipotesi.